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BIG CHAOS

Bari International Gender festival
31 ottobre ⎯ 5 dicembre 2025



Qual è il senso di un festival come il nostro mentre a Gaza si consuma un genocidio? Qual è il senso della cultura, dell’espressione artistica e degli immaginari se non sono militanti, attenti alla realtà e schierati senza riserve? Come teniamo in dialogo piani diversi? Come utilizziamo il nostro privilegio? Come possiamo non rassegnarci alla bruttezza e trasformare in azione politica la nostra riflessione teorica su un altro mondo possibile, se davvero esiste?

Non c’è un modo di pensare al BiG quest’anno che non si riferisca al disordine. 

Il disordine in cui ci sentiamo, una quotidianità al bivio fra cinismo e schizofrenia, fra scollamento e partecipazione emotiva; una dieta mediatica fatta di sangue e prodotti di consumo, che riflette la necessità di guardare oltre una narrazione disonesta, e parallelamente riflette il timore di trasformare il sangue in un prodotto di consumo, in un’estetica del posizionamento, vuota e fine a se stessa. 

Il disordine è smarrimento ed è speranza, l’unica che abbiamo, che esso dischiuda nuove possibilità. Ad un ordine che cade pesante dall’alto, inquina l’aria e si minaccia imperioso, determinato a schiacciare a terra ogni slancio di civile libertà, ogni bisogno espressivo di fermento politico, ogni naturale e artificiosa ribellione alla disciplina dell’omologazione e del colonialismo, intellettuale e fisico. 

Il disordine così assume la forma di una scellerata scommessa: un caos che è doveroso attraversare con le nostre coscienze, interrogandoci in maniera costante e profonda sul senso del nostro ruolo nel mondo, cercando di reagire alla sfiducia nichilista con la forza reciproca dell’azione collettiva.

Il disordine come epifania di luce sul silenzio, come una sovversione dei codici che sconfessi l’equazione fra egoistica sopravvivenza e squallida indifferenza. 

Non si può sentire finché si obbedisce, e non si deve obbedire finché si sente: quest’anno più che mai riteniamo necessario confondere le frequenze della nostra piccola comunità temporanea con quelle di chi è oppresso dall’altra parte del mare; se niente ha senso, tutto può avere senso. Ogni performance una protesta.

In un tempo di morte, esistere è già stare nelle contraddizioni. Sentire, nelle contraddizioni, e levare altissimo il grido dell’arte – politica e disobbediente – è assolutamente necessario. Ed è l’unica maniera che conosciamo.

#BIGChaos

What is the meaning of a festival like ours while genocide unfolds in Gaza? What is the meaning of culture, of artistic expression and imagination, if they are not militant, if they are not rooted in reality and fully committed? How do we sustain dialogue across different layers? How do we use our privilege? How do we refuse to surrender to ugliness, and instead turn our theoretical reflection on another possible world into political action-if such a world truly exists?

This year, there is no way of thinking about BiG that does not speak of disorder.

The disorder we inhabit is a daily reality caught between cynicism and schizophrenia, detachment and emotional involvement; a media diet made of blood and commodities, revealing the need to look beyond dishonest narratives while reflecting the fear of turning blood itself into a consumable product, into an empty and self-serving aesthetics of positioning.

Disorder is at once confusion and hope-the only hope we have-that it may unlock new possibilities. Against an order imposed from above, heavy and imperious, polluting the air and crushing every spark of civil liberty, every impulse for political ferment, every natural or artificial rebellion against the discipline of homogenization and colonialism-intellectual as well as physical.

This disorder takes the shape of a reckless wager: a chaos we must cross with conscience, questioning deeply and relentlessly our place in the world, striving to resist nihilism through the shared strength of collective action.

Disorder emerges as an epiphany of light within silence, a subversion of codes that unsettles the equation between selfish survival and bleak indifference.

There can be no true feeling where there is obedience, and no obedience where feeling takes root. This year, more than ever, we see the need to blur the frequencies of our fragile temporary community with the struggles of those oppressed across the sea. If nothing holds meaning, then everything can. Every performance becomes an act of protest.

In times of death, to exist already means inhabiting contradictions. To feel within those contradictions, and to raise high the cry of art-political and disobedient-is not only urgent, it is the only way we know.


BIG X

31 ottobre – 30 novembre 2024

riprese e montaggio Alberto Mocellin

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