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#7 Il sangue è un argomento per adulti. Ma forse un’altalena lo è di più

di Beatrice D’Abbicco

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«A che merito sono incolume, in un mondo dove tutta la violenza che puoi immaginare viene inflitta a qualcunə, da qualche parte?» pensavo, leggendo qualche riga sulla biografia di Franko Black, che ha immolato il suo corpo alla rappresentazione artistica di un massacro personale. E la consapevolezza di essere più fortunata di chi sperimenta quel dolore non placava l’angoscia per il fatto di abitare lo stesso mondo in cui questo accade.

Lo stesso corpo di Franko B., capace di performare la sofferenza con il suo sangue, ieri dondolava serafico sull’immensa altalena d’oro nella sala affrescata del palazzo Fizzarotti, a Bari, per I’m thinking of you sotto le note di un pianoforte nostalgico.

Lo sguardo, cristico e pieno di stupore, come quello di un bambino. E il fisico variopinto coi tatuaggi tipo uno schizzo di Dalì, che oscillava placido come quello di un neonato, senza ferite impresse nella carne e nello spirito. L’esigenza di cullarsi planando leggeri sulle cose terrene. Cauterizzare il passato all’aria fresca, mostrandosi a tuttǝ inerme e al sicuro. Nudo come l’innocenza infantile.

Sacrificio, espiazione, tortura condividono lo stesso orizzonte degli eventi di un bacio, di una gita al mare, di un buon vino, di una proposta di lavoro. È tremendo, ma esistono storie di condannatǝ e totalitarismi oltre l’orizzonte ovattato del nostro piccolo spazio-tempo comodo e diplomatico. E anche qui, in realtà, si annidano i principi di una tragedia che amiamo chiamare “raptus”, “eccezioni”, “contesti degradati”, per distanziarcene.

Omofobia, sessismo, bambinǝ sofferenti, piccole prepotenze quotidiane. Anche l’identità umana è un privilegio, di cui un capro espiatorio viene per sempre privato. È questo a far più paura del dolore, della morte stessa. Oscillare tra l’orrore e la meraviglia della vita che può condannarti. Quando prendi consapevolezza di essere un grumo di coincidenze reversibili, il sacrificio dell’altrə ti riguarda, ti tocca forte come il sentore di una probabilità comune, che azzera ogni casta.

E allora allora ti assumi la responsabilità di incarnarlo. «Che il tuo manierismo, il tuo modo di lavorare, sia etico, devi essere etico» sostiene Franko sulla libertà di esprimersi, ripudiando l’utilizzo di animali per i suoi spettacoli, nell’intervista di Donatella Giordano per la presentazione della sua autobiografia al Macro di Roma.

Prima ancora dell’autolesionismo, della resistenza, del tentativo di purificazione e del sangue, c’è la responsabilità. Presa di coscienza di essere vulnerabile al pari dellǝ altrǝ. E qui il grande merito di arrendersi, in quella resa senza sconfitta che è l’accettazione, da cui germoglia stupore nuovo. Quella stessa resa nello sguardo bambino di Franko, che si dondola su una strana giostra dorata nell’atmosfera onirica delle stanze murattiane del palazzo ottocentesco del Fizzarotti.

Una sottostante ricerca di tenerezza umana ha sempre l’ultima parola nel percorso di una vita non facile, come quella dell’artista, cresciuto all’istituto Croce Rossa. È sintesi di tutto il dolore (auto)inflitto e subito. «Se riuscissimo a superare i nostri fallimenti, riusciremmo a essere liberi», dice.

L’altalena è una cosa da grandi.



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