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# 6 Excedo ergo sum

di Giuditta Giuliano

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«La mia esistenza è un atto politico».

Così ha esordito Piny, ieri 10 novembre, durante il talk seguito alla sua performance in anteprima internazionale presso il Teatro Kismet di Bari.
Di origini africane e portoghesi, newyorkese d’adozione, laureata in architettura e poi in scenografia, studiosa di danze orientali e africane, appassionata di hip-hop, clubbing, fusion bellydance, danza contemporanea e dancehall, Piny è una di quelle persone che, per dirla nei termini di Hillman, vive e ha sempre vissuto nel segno della sua vocazione più intima. Di lei lo trasmettono non solo le parole, ma anche – e soprattutto – il tono della voce, il corpo e la folgorante presenza scenica.

La sua arte performativa è un esempio virtuoso di superamento del limite: limite inteso come divisione manichea tra categorie, ma anche come linea di demarcazione tra significati apparentemente antitetici.

«Alla stregua di molte altre donne, vengo spesso accusata di essere troppo: troppo femminile o mascolina, troppo o poco sexy, troppo scoperta, troppo vestita, troppo energica. I miei stessi colleghi di danza sono arrivati a considerare il mio lavoro eccessivo, confuso, percorso da troppi stili differenti».

Così, la performance Hip. A pussy point of view, presentata ieri in anteprima internazionale al Teatro Kismet di Bari, rivendica fieramente il corollario di eccessi (e di negazione degli stessi), cui la società patriarcale relega l’esistenza fisica di ogni donna.

Il corpo è al centro di un’arena, ora richiamo ancestrale, poi strumento di seduzione e, ancora, veicolo di ironia. La dimensione della lotta, nel passaggio di testimone tra le diverse modalità e gli di stili di danza, però, non si perde mai. Perché Piny porta in scena qualcosa di tremendamente politico, senza fare false promesse né pretendendo di dare risposte. Perché tra dolore e piacere, libero arbitrio e costrizione, tra l’autentica volontà di una donna di esprimere la propria sessualità e la sessualizzazione impostale dal male gaze, c’è un confine sottilissimo, talvolta impossibile da distinguere. Ma la rivoluzione di Piny sta proprio in questo: nel non decidere di percorrere una strada a scapito di un’altra, conducendo ogni scelta alle sue conseguenze più estreme.

Così, quello che si leva dall’arena dove la sua lotta si consuma, è un inno all’osceno, alla dolcezza, alla forza, al dolore, alla dualità e all’eterno affronto dell’esser donna. È un grido che sembra dire, alle donne tutte: “qualsiasi cosa siate o scegliate di essere, siatelo fin dentro alle viscere, così conoscerete, nel dolore della lotta, la bellezza dello stare al mondo”.

È dunque un excedo ergo sum, quello che Piny ci consegna a mani nude, un rito in difesa di ogni forma di libertà. Tra tutte, quella di non avere paura.



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